Heavenly Sword – #ricordivideoludici
Quella sua folta e lunga chioma rossa è ancora oggi impressa nella mia memoria. La bella Nariko, protagonista di un gioco che si rifaceva ad alcune meccaniche ammirate in God of War e che con Heavenly Sword provava in qualche maniera a replicarne un percorso, che da lì a poco, sarebbe divenuto ancora più glorioso (vi è pure un easter egg all’interno).
Il mio quarto gioco per PlayStation 3 arrivato dopo Resistance, Motorstorm e Dark Sector, su una console che stentava a decollare su qualunque fronte, seppur poi la storia dica altro. E lei, che fin dal primo istante mi catturò con quel suo sguardo seducente e accattivante per accompagnarmi in un viaggio breve (davvero breve visto l’attesa), ma parecchio intenso. Uno dei primi titoli, se non proprio il primo, che faceva del motion capture la sua ragione d’essere e che vantava attori anche piuttosto importanti coinvolti nella realizzazione dell’opera.
Lei, quella donna considerata maledetta dal proprio clan, poiché una profezia predisse altro, ovvero la nascita di un maschio che avrebbe liberato le terre dal dominio di Re Bohan, guidato a sua volta dal demoniaco Re Corvo. Colei che per mano del suo stesso padre sarebbe potuta andare incontro ad una fine prematura, alla nascita, ma che grazie anche alla sua amica Kai, nonché sorella adottiva, trovò la forza per sopravvivere nel tempo.
Un hack’n’slash puro, Heavenly Sword, che ricordo grezzo ma al contempo dotato di una grande maestria, danzante nelle battaglie in cui Nariko si aggrovigliava tra i suoi stessi capelli e ragionato quel tanto che bastava quando si prendeva il controllo di Kai, votata ad impugnare armi dalla lunga distanza. Un titolo che metteva su schermo, anche grazie ad un’impeccabile regia, una guerra senza pari e su larga scala, che osava tanto lì, dove ancora nessuno (o forse in pochi), aveva mai osato.
Non il titolo che tutti cercavano da PlayStation 3, ma indubbiamente segnante in quanto tra i primi di quella generazione targata Sony, mai così travagliata. Quanti ricordi disseminati lungo il suo percorso, tra problemi tecnici di vario genere ad una boss fight finale incredibile, che mi seppe dare davvero filo da torcere facendomi incazzare a più riprese.
Un ricordo agrodolce, che volevo condividere con voi all’interno di questo #ricordivideoludici, in preda ad una nostalgia che spesso mi tradisce e lascia trasparire il mio lato più umano quando si tratta di opere così controverse. Un invito, a chi si è perduto questa meravigliosa avventura colma di difetti, a recuperare quello che si può definire a tutti gli effetti: un diamante allo stato grezzo.
Provare per credere.
Giocare per innamorarsene.
“Non vuoi niente. Non credi in niente. Il futuro è il tempo che ti rimane prima di finire un videogioco. Non credi nella vita dopo la morte e hai poca fiducia nella vita in generale. L’unica cosa che sai per certo è che non vuoi le stesse cose dei tuoi genitori.”