Ravenlok: un viaggio all’interno di una fiaba – Recensione
Tra creature immaginarie e regni incantati nell’ultima opera targata Cococucumber
Sinceramente tutto credevo tranne che Ravenlok mi scivolasse via con così tanto piacere da un pomeriggio all’altro; una produzione, questa, che stavo seguendo da tempo e che aveva catturato il mio interesse grazie al suo impianto artistico. Non è stato certo un gioco impegnativo – intendiamoci –, ma con le sue trovate ha saputo indurmi a spremere le meningi numerose volte, per venire a capo dei diversi enigmi sparsi lungo il suo percorso; in quella che appare come una reinterpretazione a tutto tondo della fiaba di Alice nel Paese delle Meraviglie e non solo.
Tra bianconigli, cappellai e malvagie regine, infatti, non faticherete a riconoscere i tratti distintivi di quell’immaginario, nonché a familiarizzare sin da subito con ogni elemento a schermo; assaporando però al contempo qualcosa dal retrogusto inedito.
Difatti, una volta che il nostro alter ego (di cui potrete deciderne il nome ma a cui i comprimari affibbieranno l’appellativo di Ravenlok) si trasferirà con la propria famiglia in una vecchia fattoria, intenta a riordinare cianfrusaglie e ad aiutare i propri genitori, si imbatterà in uno specchio magico che la teletrasporterà in un regno incantato da cui avrà inizio il proprio viaggio.
Ravenlok si ritrova quindi allontanata dalla vita reale e risucchiata in un mondo avvolto dall’oscurità, sotto il perfido maleficio e la schiacciante corruzione della Regina Bruco; starà a lei, pertanto, dimostrarsi all’altezza della situazione e portare in salvo il disastrato regno. Come dicevo in apertura d’articolo, dunque, sorprende come il gioco riesca a scivolare via leggiadro, facendo sfoggio di un gameplay onestamente poco profondo – alle volte abbozzato –, ma che ben si sposa con l’immediatezza dell’opera targata Cococucumber (che, ad onor del vero, corrisponde alla parte finale di una trilogia chiamata Voxel), mirando dritta al sodo senza gongolare.
Ad un combat system tipico degli hack ‘n’ slash, d’altronde (ma che si limita ai soliti affondi conditi di attacchi leggeri, parate, schivate e con in più qualche piccola sorpresa), fa da contraltare un’ esplorazione intrisa di enigmi e backtracking che mi ha indotto a restare sempre sul pezzo; quasi come se ne fossi assuefatto, ma senza capirne davvero il come.
Perché c’è della bellezza di fondo in questo gioco che più che identificarla in un qualcosa di specifico, individuerei nel suo insieme di elementi. E perché pure sta grafica mista a Minecraft ha la sua ragion d’esistere, riuscendo a divenire con il via via che si avanza tra i diversi regni, un vanto artistico di non poco conto.
Se uniamo il tutto ad una visuale fissa di cui si avvale (ma di cui si ha solo un parziale controllo) a un impianto audio che vivacizza e incalza perfettamente con l’azione a schermo, la fiaba narrata assume connotati atipici e attraenti.
E poco importano i problemi relativi alle collisioni durante i combattimenti, alcune animazioni che han quel pizzico di imbarazzante o l’intelligenza artificiale dei nemici, se poi al contempo Ravenlok si lascia sempre apprezzare. Son proprio quelle tipiche cose su cui riesci a soprassedere, specie se grazie ad esse avverti ancor di più l’identità di questo progetto. Non so se ho reso l’idea, ma ci tenevo a rimarcare questa sensazione avuta, dato che con giochi come Horizon: Forbidden West, mi capita l’opposto; cioè che i difetti mi pesano davvero troppo e più che dare qualcosa al titolo, glielo sottraggono. Ma vabbè… Magari so’ strano io (il che non è da escludere).
A far da corredo alla produzione troviamo anche le consuete boss fight, a dir poco articolate nella loro messa in scena, quanto piuttosto semplici nell’esecuzione. Difatti non è che mi sia mai trovato realmente in difficoltà durante l’intera avventura, ed anche se quest’ultime nelle intenzioni ci abbiano provato ad alzare un tantino l’asticella, non mi hanno impensierito chissà quanto; restando dunque più piacevoli a vedersi che a giocarsi. In un andirivieni di regni magici, personaggi strambi, missioni assurde e molto altro, l’avventura ha saputo comunque ritagliarsi uno spazio tutto suo per circa sei/sette ore, senza mai pesarmi e divertendomi oltre l’impensabile.
Ci sarebbero molte altre cose da dire (come la mancata localizzazione italiana), ma al fine di non appesantire troppo la lettura e svelarvi ulteriori dettagli che vi verranno snocciolati giocando, direi che è tempo di fermarsi; rimandandovi direttamente ad una prova su campo, dato che Ravenlok sarà disponibile a partire da domani su PC ed Xbox (disponibile sin da subito su Game Pass).
Rilassatevi, sfogliate le avventure già insite nella vostra memoria, e date inizio ad un viaggio che vi farà sentire a casa.
Non ve ne pentirete.
CONCLUSIONI
Overall
-
GRAFICA - 7/10
7/10
-
GAMEPLAY - 7/10
7/10
-
AUDIO - 7/10
7/10
-
LONGEVITÀ - 7/10
7/10
IN SINTESI
Alla fin fine con Ravenlok mi ci sono divertito per davvero. Ho passato due pomeriggi all’insegna della spensieratezza, ammaliato dalla bellezza artistica dell’opera di Cococucumber e poco mi han pesato i suoi problemi legati all’azione, l’assenza del nostro idioma o la presenza di qualche bug qua e là; tutto è filato comunque liscio come l’olio. Ed è questo il merito più grande della produzione targata Cococucumber; fotterti il cervello senza neppure sapere come. C’è qualcosa di addicted in ciò che viene mostrato al videogiocatore da cui proprio non ci si può separare; e quando ciò accade direi che l’obiettivo può – seppur nei propri limiti – definirsi centrato. Proprio come una bella fiaba della buonanotte.
“Non vuoi niente. Non credi in niente. Il futuro è il tempo che ti rimane prima di finire un videogioco. Non credi nella vita dopo la morte e hai poca fiducia nella vita in generale. L’unica cosa che sai per certo è che non vuoi le stesse cose dei tuoi genitori.”