Tasomachi: Behind the Twilight – Recensione
Tasomachi: Behind the Twilight è un’opera intima, dal fascino intrinseco e controverso. Saprà catturare e destare interesse nei videogiocatori? Scopritelo nella nostra recensione
Descrivere al prossimo un videogioco come Tasomachi: Behind the Twilight è forse la sfida più ardua che mi sia capitata d’affrontare da quando ho iniziato il mio percorso di redattore. Farvi capire dove risiede la bellezza di un titolo così controverso, targato Playism e Orbital Express, non è certo cosa semplice e pertanto scaverò nel mio io più profondo per cercare di comunicarvelo al meglio. Un’opera così intima e personale lascia molto spazio alle emozioni e ai vecchi ricordi e Nocras (unico sviluppatore dietro al progetto) sembra volervi spingere sin dal principio verso questa direzione, in larga parte riuscendoci. In fondo parliamo di colui che ha lavorato come progettista ad alcune delle più grandi produzioni nipponiche e che ha maturato una certa consapevolezza dei propri mezzi. In opere come Zelda: Breath of the Wild, Xenoblade Chronicles 2, Final Fantasy XIV, etc. c’è infatti anche la sua firma.
Capite? Non stiamo certo parlando di uno qualunque.
Una trama che funge da pretesto
Tasomachi: Behind the Twilight si apre con la dolce Yukumo intenta a guidare il suo dirigibile tra le bellezze artistiche di un paesaggio orientale che poco ha da invidiare a titoli più blasonati, dandovi sin da subito il diretto controllo con il mezzo. Presto, però, qualcosa va storto e il motore del veicolo inizia a prendere fumo, andando in panne e costringendo la protagonista ad ormeggiare presso lo scalo più vicino sito nella Silent Valley. Qui farà la conoscenza degli unici abitanti rimasti, una tribù dalle sembianze feline che si fa chiamare Nezu e che guiderà la malcapitata nelle riparazioni necessarie, ma solo dopo aver soddisfatto alcune loro richieste. Per riprendere il viaggio e giungere finalmente verso la propria meta, quest’ultima dovrà quindi cercare risorse ed oggetti in grado di rimettere in sesto il veicolo. Dovrà farlo attraversando luoghi ignoti avvolti da una nebbia misteriosa che ha inghiottito la luce e allungato sul mondo la sua ombra, lasciando attorno a sé poco o nulla e privando gli alberi sacri di quella linfa capace di donare la vita. Una trama semplice (piuttosto banale se ci pensiamo), che serve più da pretesto che altro, ma che nella sua semplicità e banalità funziona ed è capace di creare nel videogiocatore quel flusso di coscienza tale da portarlo ad immergersi in luoghi magici, segnati -ahimè- da un triste destino.
Dopo aver esplorato il santuario della Silent Valley, dunque (che funziona anche da hub centrale dove cambiarsi d’abito e acquistare oggetti), e dopo aver ridato vita al primo degli alberi sacri, Yukumo ottiene l’energia necessaria per rimettere in moto il dirigibile e viaggiare verso la prossima destinazione.
Gameplay old school
La bella protagonista potrà accedere alla prossima area (come dicevo poc’anzi) solo dopo aver soddisfatto determinati requisiti che, nella maggior parte dei casi, si riducono al dover raccogliere delle lanterne sparse per le varie mappe. Una volta ottenute quest’ultime si potrà viaggiare verso la prossima destinazione, interagendo con dei cartelli siti nei pressi del dirigibile (che indicano sempre quante di queste sarà necessario raccogliere) e riprendere così il proprio cammino. In sostanza, quanto appena descritto, è quello che Yukumo dovrà fare per tutto l’arco dell’avventura che la vedrà impegnata per 10 ore circa (qualcosa di più laddove vorreste abbandonarvi all’esplorazione).
Sappiate però che i regni che visiterà saranno sempre suddivisi in piccole macro-aree mai interamente esplorabili, quantomeno inizialmente. Difatti all’interno di ognuno di questi è presente un santuario in cui fa bella mostra di sé un albero sacro prosciugato della sua essenza, suddiviso a sua volta in diversi piccoli dungeon (dove mettere in mostra le vostre abilità da platformer). Sarà quindi vostro compito ridonare energia al luogo imbevendo l’albero di quella linfa perduta, completandoli tutti e riportando così la luce inghiottita dall’oscurità, facendo diradare così la nebbia presente in loco. Solo una volta che l’avrete diradata completamente (rinvigorendo tutti gli alberi presenti in quel regno), potrete esplorare liberamente il posto andando alla ricerca di collezionabili, monete e pergamene su cui sono scritte le memorie degli abitanti.
Un titolo, Tasomachi: Behind the Twilight, davvero vecchia scuola -se ci pensate- che punta tutto sul platforming esplorativo votato al collezionismo e mai proibitivo o punitivo, nonostante le problematiche di natura tecnica che si porta appresso. Il gioco infatti è tutto fuorché impeccabile tecnicamente e non saranno poche le volte in cui litigherete con la telecamera, in cui il tearing si farà sentire, le texture appariranno slavate e i bug si paleseranno. La protagonista è inoltre così leggiadra nei movimenti che spesso vi capiterà di sbagliare un salto o di correggere la vostra posizione muovendo lentamente lo stick sinistro del pad, come se avvertiste la mancanza di fisica e di qualche animazione volta a facilitarvi l’azione. Avete presente? Eppure -diamine-, nonostante questo, Tasomachi: Behind the Twilight si lascia giocare che è un piacere, spingendovi in maniera naturale verso un’avventura mai noiosa (nonostante la ripetitività delle azioni da compiere). Questo perché, piano piano, quasi sussurrando come una leggera brezza, il titolo aggiunge piccole trovate in grado di potenziare la propria struttura, donando alla bella Yukumo persino qualche nuovo potere.
Quella piattaforma che non potevate raggiungere in nessun modo diventa quindi accessibile; quel vestito che volevate comprarvi potrete finalmente farlo vostro; quel paesaggio così bello di giorno potrete finalmente esplorarlo anche di notte, così da poter ammirare le luci e la bellezza del posto sotto una nuova lente; potrete sedervi su una panchina e riposarvi, ammirando lo splendido panorama che vi circonda. Insomma, quel pizzico di varietà per migliorare la propria esperienza con l’opera c’è, è presente, ma non sempre è tangibile se non vi fermate a respirarlo, capite? Bisogna ricercarlo nella poetica che questo vuole offrire e tenere a mente, sempre, quelle che furono le parole dello stesso sviluppatore: “volevo creare un platform 3D rilassante che vi permettesse di esplorare un mondo estremamente orientale”. Solo così vi può essere una perfetta simbiosi tra voi e Tasomachi. Lasciate che sia lui a trasportarvi, ecco.
Più arte che tecnica
Tecnicamente, quindi, come accennavo poc’anzi, ci troviamo di fronte ad un titolo altalenante, che alterna cose belle ad altre decisamente meno belle, ed inoltre non è nemmeno ottimizzato come dovrebbe (anche se è stata appena rilasciata una prima patch). C’è proprio qualche carenza evidente sotto questo aspetto, come ad esempio la forma di alcune rocce che alle volte appaiono come dei veri e propri blocchi privi di texture, magari pure troppo spigolosi e privi di modellazione; ma è comprensibile in fin dei conti, suvvia. Parliamo pur sempre di una singola persona al lavoro su un’opera dal budget limitato, che per quanto possa essere talentuosa e colma di risorse non può sopperire a tutte le mancanze da sola.
Eppure, da sola, è riuscita a dar vita -di contro- ad uno dei comparti artistici più belli ed immersivi che mi sia capitato di vedere. Questi villaggi rurali circondati dall’acqua, immersi in una natura spenta ma in grado di accendersi di colpo, a metà tra lo steampunk e l’architettura tipica d’oriente, creano un mix di emozioni genuine che ti afferrano per mano e ti trascinano in un’immaginario poetico. Un’immaginario che si avvale niente poco di meno che di una OST composta da Ujico, talentuoso musicista giapponese che vanta come 1 milione di iscritti sul suo canale YouTube e circa 600.000 ascoltatori mensili su Spotify.
E anche qui: mica parliamo di uno qualunque.
Capite quindi che dove il gioco non arriva con la tecnica arriva attraverso altri mezzi di comunicazione, interagendo con i vostri sensi e parlando direttamente al vostro cuore cercando di trasmettervi serenità e gioia.
In fondo Tasomachi: Behind the Twilight sembra un po’ lo specchio di questo triste periodo.
L’arcobaleno dopo la pioggia.
Poi il sereno.
VOTO: 7
CONCLUSIONI
L’ho fatto alla fine: ho preferito ascoltare le mie emozioni per valutare un titolo come Tasomachi: Behind the Twilight. Se mi fossi fermato alle apparenze e non fossi entrato in intimità con un titolo del genere, sarei risultato ai miei occhi come un freddo bastardo e probabilmente persino incapace di guardarmi dentro. Appartengo ad una schiera di videogiocatori che quando vede un’opera con questo carisma, seppur non confezionata alla perfezione, non può restare indifferente. Tendo sempre a vedere qualcosa di buono, in tutto, anche nei lati più malvagi e Tasomachi, di malvagio, non ha proprio nulla. Ha solo la grande colpa di essere un gioco su cui probabilmente ha creduto solo il proprio autore e il compositore della OST. È amore per la vecchia scuola e per il proprio lavoro da parte di un folle, evidentemente, che ha dimostrato il suo talento negli anni e che con Yukumo ci fa respirare un’avventura dal sapore nostalgico. Disponibile su PC via Steam e GOG, Tasomachi: Behind the Twilight è un titolo che a questo prezzo (circa 15,00€), se cercate qualcosa di realmente differente dai prodotti propinati oggi sul mercato, non potrete lasciarvi decisamente sfuggire. Al netto delle problematiche tecniche. Al netto della mancata localizzazione. Al netto di quello che leggerete in giro. Speriamo che quanto prima esca anche su console in modo da allargare il proprio bacino d’utenza. Magari in una bella edizione retail confezionata ad hoc.
“Non vuoi niente. Non credi in niente. Il futuro è il tempo che ti rimane prima di finire un videogioco. Non credi nella vita dopo la morte e hai poca fiducia nella vita in generale. L’unica cosa che sai per certo è che non vuoi le stesse cose dei tuoi genitori.”