L’eterna insoddisfazione dei tempi moderni
Se hai letto questo titolo pensando di trovare un trattato di filosofia sull’insoddisfazione dei tempi moderni, beh… ci sei quasi. Potrei dire che lo è, ma ehi… Pushbutton.it è un sito di videogiochi, ergo possiamo anche andare un po’ off-topic, però non in questo modo. Tuttavia posso prendere in esame l’argomento ed incentrarlo sul panorama videoludico, risolvendo il problema e prendendo due piccioni con una fava. Che bello fare l’articolista. Noi autori siamo fatti così: ci piace disquisire di ogni cosa e spaziare per svariati argomenti, collegando poi il tutto in maniera contorta. Eppure nella follia un nesso concreto c’è; siamo qui proprio per questo. Cento parole e finora ho scritto solo cazzate. Da quando ho lasciato il settore quasi non mi riconosco più, ma vorrei ricordare che il sito è stato fondato per permetterci di scrivere qualsiasi cosa passasse per la testa, come riportato anche nel “chi siamo“:
Push Button prende vita dalla volontà di tre appassionati di divulgare e condividere le proprie idee, impressioni, video e quant’altro sullo splendido panorama videoludico, partendo dal retrogaming sino all’attualità, senza tralasciare nulla. Al timone vi sono Ismaele Mosca, Gennaro Schiavelli e Antonio Rodo: tutti e tre hanno avuto diverse esperienze come redattori e gestori di testata, scrivendo da ormai diversi anni per il settore. Questa pagina nasce dal desiderio di mettersi in proprio e dare libero sfogo alla loro creatività, senza vincoli e con tutto l’amore e la dedizione per questo medium.
Forse l’ho preso un po’ troppo alla lettera… ma chi se ne frega! In fondo è divertente. Direi però che sia giunto il momento di svestire per un attimo i panni del giullare di corte che indosso fin troppo spesso e cominciare a scrivere cose serie (perché, ne scrivi? – NdR). Da ormai diversi anni che frequento i social, le community di appassionati e i vari siti di videogiochi, ho notato che aleggia una certa insoddisfazione tra gli scambi di battute degli utenti. Sembra quasi come se nessuno godesse dei piccoli attimi di felicità che questa passione può offrire (così come tante altre). Non voglio fare il solito nostalgico del GAZ che vi dice che ai suoi tempi si stava meglio, che era tutto più buono e che la frutta era migliore (anche perché non sono così vecchio). Ciononostante ho notato che con l’avvento di internet siamo parecchio cambiati, e forse in negativo. Pur avendo tutto e subito, a portata di click e con la possibilità di ricevere qualsiasi capriccio fino a casa in tempi talvolta relativamente brevi, siamo colpiti da questa inesorabile insoddisfazione. Puntualmente troviamo il motivo per lagnarci e sputare sentenze manco fossimo chissà chi. E poco importa se le conoscenze su una determinata materia sono scarse (per non dire nulle), c’è la libertà di pensiero e internet la offre a tutti con un click. Ed ecco che “i tempi di caricamento sono troppo lunghi”, “quella scena urta la mia sensibilità, andrebbe rimossa”, “il pelo del culo appartenente al personaggio è notevolmente sgranato”, “il gioco mi ha deluso perché io volevo le pecore volanti al posto dei maiali”, “Switch non ha giochi, ma lo dico solo perché non voglio ammettere di avere gusti di merda e quindi meglio riversare la colpa sulla console” e così via.
Sapete cosa? A me tutta questa insoddisfazione ha un po’ stancato. Insomma, è mai possibile che non riusciamo più a goderci i giochi e le console senza avere nulla da ridire? E badate bene, sto parlando in prima persona plurale, tirando in ballo anche me stesso, appunto perché nessuno è escluso. Viene rinviata un’opera e gli sviluppatori devono morire con tanto di augurio di stupro alle mogli/madri/figlie; il titolo rispetta quanto promesso, ma “eeeh, mi aspettavo di più, che delusione”; c’è un bacio lesbo e internet implode a causa degli indignati; muore un personaggio e tutti si lamentano perché sì, è il pubblico che ha deciso che non doveva crepare; la storia si conclude in un modo diverso da come l’avevi immaginata da fan del cazzo quale sei e allora è delusione; non c’è doppiaggio in italiano ma solo i sottotitoli, eh gomblotto; il gioco è un platform e allora è una truffa al prezzo pieno di 60,00€. Ma cavolo, ve le siete forse dimenticate le sole che ci rifilavano a 120.000,00 lire (o più) ai tempi? Eppure bastava una cover, le scritte idiote sul retro e anche un gioco di merda lo si cercava di apprezzare. Era magari l’unico gioco nuovo e bisognava farselo durare mesi prima di riceverne un altro. Oggi abbiamo fin troppo e non sappiamo valorizzare nulla. Questo ci porta quindi a lamentarci di qualsiasi cosa, anche del superfluo. D’altronde non riguarda solo il panorama videoludico, ma l’umanità tutta che vive perennemente di insoddisfazione. Non saprei nemmeno quale possa essere una soluzione al problema; ormai siamo irrecuperabili.
Ma ci pensate se il primo Drakengard fosse uscito oggi? Ricordo ancora quando molti anni fa lo acquistai poiché attratto dalla copertina; bastò poco per volare di fantasia, ma una volta arrivato a casa mi ritrovai al cospetto di un gioco davvero scarso sotto quasi tutti i punti di vista, se non per qualche idea e la storia che vanta comunque il tocco del folle Yoko Taro. Oggi lo avrei probabilmente abbandonato, seppellito dalla mole incredibile di giochi in sospeso (il famigerato backlog, come lo si definisce di questi tempi). All’epoca invece non solo lo giocai ininterrottamente, ma lo portai a termine con quattro finali su cinque (o quanti erano tutti, non ricordo). Questo non vuol dire affatto che mi sia piaciuto, ricordo infatti Drakengard come un’esperienza parecchio noiosa e ridondante (un musou sotto mentite spoglie, potremmo dire); eppure ciò non mi fece esimere dal portarlo a compimento, perché era praticamente l’unico gioco nuovo che avevo in quel momento e quindi gli ho trasmesso maggior valore, senza che venissi travolto dall’insoddisfazione che ormai permea qualsiasi acquisto. Le persone tendono a non condividere gli aspetti positivi delle proprie esperienze, si soffermano puntualmente su quello che non va, litigando con gli interlocutori per imporre il proprio pensiero. Qualsiasi cosa è una delusione: le Lune di Super Mario Odyssey? Delusione. Le armi che si rompono in Breath of the Wild? Delusione. Le lunghe cavalcate di Red Dead Redemption 2? Delusione. Il voto è 9 anziché 9,5 o 10? Delusione. Fottesega di tutti gli altri molteplici valori di queste produzioni. Oggi ad esempio scherziamo sul doppiaggio italiano – penoso – di The Legend of Dragoon, ma fosse uscito di questi tempi credo proprio che sarebbe andata diversamente, con tanto di augurio di morte ai doppiatori. Non apprezziamo nulla perché siamo troppo impegnati a trovare l’ennesima cazzata su cui lagnarci. Vero, spendere soldi su un gioco di merda non fa di certo piacere, ma farne una tragedia manco fosse la fine del mondo è ridicolo. E poi anche un brutto titolo può sempre regalare qualcosa: io Drakengard – così come tanti altri – lo ricordo comunque con piacere, nella sua bruttura. Non è di certo qualcosa che rigiocherei di gusto, ma tutto sommato fa parte dei miei #ricordivideoludici e se lo porto nel cuore è proprio perché mi riporta alla mente gli anni di quando acquistai l’opera targata Square Enix e tutto quello che ho vissuto in quel periodo. Altro che insoddisfazione.
Con questa lunga disamina cosa voglio dire? Molto banalmente che dovremmo rilassarci un pochino e prendere le cose con più leggerezza, dando valore a ciò che abbiamo. L’insoddisfazione non porta a nulla di buono, in quanto non ci fa godere della nostra passione. E che senso ha se di una passione non ci si nutre con gusto? Quello a cui possiamo accedere oggi sembrava fantascienza, ieri. Che schiaffo morale sapere che possiamo avere tutto e subito a portata di click, ma non siamo mai soddisfatti abbastanza forse perché talmente nauseati e assuefatti che non proviamo più sensazioni positive. C’era più felicità dopo l’acquisto dell’orrido Men in Black sulla prima PlayStation che non con un peculiare Death Stranding, oggi. Piuttosto che godersi l’opera, meglio sfogare le proprie frustrazioni sull’internet scrivendo un mare di cazzate come “simulatore di Bartolini” e affini, nonché riservare un bel po’ di odio gratuito sul creatore, Hideo Kojima (è importante). O vogliamo parlare di Final Fantasy XV? Ci sta che non sia piaciuto, inoltre la gestazione del progetto da parte di Square Enix è stata veramente scandalosa e irrispettosa, ma vedere la gente con quanta nonchalance ha gettato merda sull’opera, su Hajime Tabata e sull’intero staff fa riflettere. È decisamente più costruttivo soffermarsi solo sui difetti di un’opera e andare a sparlarne ai quattro venti piuttosto che cercare di trovarci del buono. Per non parlare dell’accanimento generale che ritroviamo su qualsiasi cosa, come sulla scelta di un attore per un ruolo di un film, del design di un personaggio e così via. Fa quasi spavento pensare poi che gli autori siano spesso costretti a modificare qualcosa in corso d’opera solo perché il pubblico ha rotto i coglioni sulla faccenda; in questo modo si perde solo il senso dell’espressione autoriale. Se c’è una cosa che facevamo meglio in passato era proprio goderci quel poco che avevamo, bello o brutto che fosse (e purtroppo non vale solo con i videogiochi). Qualcosa che con la diffusione del materiale e la rapidità odierna è probabilmente impensabile, ma che utopicamente mi piace comunque ancora sognare.
Appassionato di videogiochi sin da piccolo, al punto tale da portarlo nel tempo a scrivere per circa dieci anni per il settore videoludico. Dopo aver lasciato tutte le testate per le quali scriveva, eccolo intraprendere una nuova avventura sulle pagine di Pushbutton.it, piccola realtà nata dalla sua mente e quella di due grandi compagni di viaggio, nonché cari amici: Gennaro Schiavelli e Antonio Rodo. Retrogamer incallito e musicista, ama la pizza e la cultura nipponica ed è pronto a raccontarvi e condividere tutto quello che gli passa per la testa.