Io e la mia irrefrenabile voglia di retrogaming
Fin da bambino ho sempre avuto una grande passione per i videogiochi. Ad essi sono legati una marea di ricordi felici, esperienze stupende e tantissime amicizie (nate sul web e non). Tutto è iniziato con un controller – quello del Super Nintendo, per la precisione. Ma un controller da solo non basta; per vivere le molteplici avventure che una console può offrire è necessario lanciare un software. Nel caso dello SNES lo si faceva tramite le vecchie cartucce di circa qualche megabyte di capienza (cifre che oggi fan sorridere) e che spesso facevamo partire con il soffio magico (che poi tanto magico non era). Iniziava così un meraviglioso viaggio verso fantastici mondi, universi e dimensioni. Avevo all’incirca tre o quattro anni quando cominciai a muovere i miei “primi passi” in un’opera videoludica; e non con un titolo qualunque, bensì con il mitico Super Mario World. Sebbene asseveri la mia preferenza verso il mirabolante Super Mario Bros. 3, sono troppo affezionato al capitolo 16 bit della serie con protagonista il baffuto idraulico (è pur sempre il mio primo videogioco). Ricordo ancora che a casa mia ci giocavamo praticamente tutti; per non parlare dei modi buffi con cui mio padre si destreggiava col joypad: ha addirittura anticipato gli ormai retrivi sensori di movimento. Ed ecco riaffiorare la nostalgia e non posso che esclamare quell’immancabile “bei tempi”. In fondo, lo erano per davvero: l’età della spensieratezza più pura; quella dove l’unica preoccupazione era uscire sano e salvo dalla scuola per poi fiondarti subito davanti al televisore con la tua fidata console. Non vedevi l’ora di terminare quei maledetti compiti, proprio perché dovevi giocare – finché crescendo non capitava di non svolgerli affatto. I videogiochi hanno sempre fatto parte della mia vita, tant’è che ancora oggi sono rimasto particolarmente legato ai titoli del passato. Al retrogaming.
Proprio ciò di cui voglio parlare oggi: il retrogaming. Perché mai sono così legato a quelle opere fatte di pochi pixel e linee di testo? Molto semplicemente non apprezzerei così tanto il futuro se non fossi sempre proiettato verso il passato, per scoprire piccole chicche e grandi perle nascoste. Le vecchie glorie accrescono quello che io amo definire il “bagaglio ludo-culturale”, permettendomi di comprendere ancor meglio quanta acqua sia passata sotto i ponti; oppure di capire quanto ciò che appare superlativo oggi sia stato in realtà già ampiamente affrontato con estrema eleganza, ieri. Curiosità e sete di conoscenza sono gli ingredienti che sin dall’alba dei tempi ardono la fiamma della passione, quella che ci rende vivi; umani. Da appassionato, il mio obiettivo è sempre stato non solo quello di giocare più opere possibili per gli svariati sistemi esistenti (e scoprire così gli imperdibili di ognuno di essi), ma anche di documentarmi sui retroscena che hanno coinvolto gli autori nello sviluppo, la filosofia del game design e tutto ciò che ruota attorno al videogioco. D’altronde ho sempre sognato di fare il game designer prima ancora che l’articolista; per dieci anni ho scritto per il settore, mentre di progetti non sono riuscito a portarne a termine manco uno. Dura la vita, mi dicono. Ci riproveremo, a tempo debito (e con le persone giuste). Ora sono però qui a scrivere sulle pagine di Pushbutton.it, un sito che abbiamo fondato proprio per dare libero sfogo alle nostre passioni e senza filtri. Tutto ciò che riterremo interessante condividere, lo divulgheremo. Non è certo il click in più a fare la differenza.
Ad esempio, da un po’ di tempo a questa parte ho ripreso ed ampliato la mia lista di esclusive giapponesi rilasciate per Super Famicom. Un lavoro complesso che stavo realizzando unicamente per me stesso; per tenere traccia dei titoli più interessanti usciti sulla strepitosa piattaforma targata Nintendo. Poi ho pensato che avrei potuto incrementare gli sforzi e fare qualcosa di più utile: la lista diventa quindi un vero file excel con tutti i dettagli utili sui giochi selezionati. Sono arrivato alla lettera “I”, per un totale di 197 titoli, ma la strada è ancora lunga e irta di ostacoli, tuttavia non demordo. A lavoro ultimato sarà qui che pubblicherò il tutto. Il motivo? Perché mi va. Probabilmente non fregherà a nessuno, eppure confido ci siano lettori a cui questa lista potrà tornare utile. Mi piacerebbe poter poi eseguire lo stesso per gli altri sistemi, in modo che non solo io, ma anche tutti gli interessati, possano scoprire prodotti di cui magari ignoravano persino l’esistenza. D’altronde il retrogaming è anche questo: (ri)scoprire tutto ciò che è passato in sordina. Troppo spesso leggo in giro per il web post e articoli incentrati sempre sugli stessi giochi (salvo rare eccezioni, ma solitamente si tratta di mosche bianche che scrivono per blog di nicchia), quasi come esistessero solo quelli. Troppo bello Final Fantasy VII, così come Metal Gear Solid, Super Mario 64, Ocarina of Time e altri grandi classici dei quali io stesso ho speso (e continuerò a spendere) fiumi di parole. Poi però le svariate testate internazionali del settore stilano classifiche tipo “i migliori videogiochi di tutti i tempi” e, tralasciando l’impossibilità di realizzare qualcosa del genere, perché nessuno di noi avrà mai modo di provare ogni opera esistente sulla faccia della Terra e di avere una visione assoluta sull’argomento, mi chiedo sempre con quali criteri le stilino.
Lungi da me voler fare l’estremo conoscitore, però ci sono piattaforme come il Super Famicom che conosco molto bene e quando mi imbatto in classifiche come questa di Digital Trends mi rendo conto di quanta ignoranza dilaghi su quei lidi. Ma Digital Trends è solo un esempio tra i tanti (il primo che ho trovato in rete da condividere qui). Si tratta di una top 20 con i presunti migliori videogiochi di sempre rilasciati per SNES (sì, io lo chiamo con il suo nome giapponese: Super Famicom). Se in una classifica di questo tipo vengono omessi capolavori del calibro di Rudra no Hihou, DoReMi Fantasy: Milon no DokiDoki Daibouken, i Ganbare Goemon mai arrivati qui da noi (ma per fortuna esiste la patch ENG) e tantissimi altri, significa che mancano proprio le basi per stilare una top, che sia essa 10, 20 o 50. Non dovevano mica inserirli tutti, ma già il fatto che non ce ne sia manco uno fa riflettere. Come fa una redazione a catalogare i migliori di sempre senza la conoscenza necessaria della piattaforma? Bellissimo Secret of Mana (Seiken Densetsu 2), ma il suo sequel, rilasciato tra l’altro solo in Giappone (arrivato qui da noi finalmente grazie alla collection dei Mana), è decisamente spanne sopra; eppure nemmeno compare nell’elenco. Ritroviamo i soliti – indubbiamente bellissimi – noti, perché forse non c’è volontà di andare oltre da parte di costoro. I classici del retrogaming sono questi, il resto non conta. Tuttavia mi spiace, ma non è così. E un buon lavoro andrebbe svolto in tutt’altra maniera.
Lo stesso vale purtroppo anche con le altre piattaforme. Per farvi capire la gravità della situazione, ve lo spiego con un esempio molto banale: se dovessimo stilare una classifica di migliori titoli PlayStation 4 – gusti a parte – giusto qualche insano di mente andrebbe ad omettere un God of War (per non citare nemmeno l’ultra quotato The Last of Us: Part II). In quasi tutte le classifiche dedicate al retrogaming mancano grandissimi giochi, persino in top meno generiche come potrebbe essere quella dei migliori platform. Troppa superficialità, tutto dato per scontato e convinzione che il meglio sia solo quanto si conosce. Peccato che il panorama videoludico sia pregno di opere importantissime che hanno contribuito a rendere meravigliose le varie piattaforme da gioco. Proprio per questo motivo, fin da piccolo, ho voluto guardare al di là del mio solo naso; oltre quello che veniva spacciato per il meglio. Non che un A Link to the Past o un Chrono Trigger non lo siano, ma esiste anche altro. Molto altro. I giornalisti del settore, gli utenti delle community… tutti che parlano sempre delle medesime produzioni. Provate ad aprire una discussione chiedendo qualcosa tipo “quali sono per voi i migliori titoli della prima PlayStation?” e sicuramente vedrete i soliti noti come Legacy of Kain: Soul Reaver, The Legend of Dragoon, le trilogie di Crash Bandicoot e Spyro, i due Bugs Bunny, Tombi e così via. Magari arriva poi quello che prova a spingersi un po’ oltre e cita Alundra o Chippoke Ralph no Daibouken (The Adventure of Little Ralph), oppure i due Lunar, o ancora il buon Koudelka. Molto più difficile che qualcuno vi parli di un Rondon Seirei Tantei-dan『倫敦精霊探偵団』o PoPoLoCrois Monogatari I e II oppure del bellissimo Puruu no Daibouken (tra l’altro di Konami, quando ancora sviluppava gran bei giochi).
Come nasce la curiosità di scoprire altri giochi, console e game designer? Nel mio caso è stato semplicemente giocando. Titolo dopo titolo mi chiedevo quali fossero ulteriori opere di un apposito genere; trovandole cominciavo a documentarmi in merito e assimilavo quasi sempre nozioni importantissime su autori che ormai non lavorano più nell’ambito, software house defunte da anni, altre inglobate in aziende più grosse e così via. Quindi un po’ col passaparola tra amici appassionati, un po’ girando per i forum, un po’ cercando liste di giochi per ogni piattaforma ed ecco che sono stato totalmente conglobato dal retrogaming. Di sicuro senza internet non avrei mai potuto soddisfare la mia sete di conoscenza; in particolare è grazie all’emulazione che ho potuto mettere le mie manacce su prodotti misconosciuti. Non potrei mai comprare uno Sharp X68000, con tutta la buona volontà del mondo; significherebbe investire qualche migliaio di euro sul vecchio retrocomputer giapponese, dopodiché spendere cifre simili per ogni singolo gioco (ammesso si riesca a scovare il tutto; è una vera impresa). Proprio sull’X68000 c’è un titolo che io adoro davvero tantissimo e risponde al nome di Étoile Princesse. Sviluppato dall’allora Exact, quella che oggi conosciamo come Japan Studio (sì, il mondo sa essere davvero piccolo, a volte). Opera meravigliosa, ma tanto bella quanto introvabile, e non fosse stato per gli emulatori non l’avrei mai giocata; il massimo della fruizione sarebbe stato guardare il let’s play su YouTube. Con l’emulazione si è quindi aperto un mondo, nonché un modo per poter recuperare e provare con mano tutte le opere di mio interesse.
Il mio viaggio all’insegna del retrogaming attraverso l’emulazione inizia quando un caro amico mi fornisce ben tre DVD con all’interno una pletora di giochi arcade (circa 4000 o giù di lì) e l’apposito emulatore: il MAME. Era il 2008, periodo in cui avevamo tolto internet da poco (non durò nemmeno sei mesi), quindi non avrei potuto far più chissà cosa con il PC e sfruttarlo per giocare gli ambitissimi arcade dell’epoca d’oro direttamente da casa sembrava per me fantascienza (ero abituato semplicemente alle console). Con la tastiera era tutto molto scomodo, decido così di recuperare un controller per il PC, sebbene per collegarlo al MAME passo un’intera giornata poiché non riesco a capire come fare (ai tempi ero pure molto meno pratico con i computer; era un mondo totalmente nuovo per me) per poi scoprire che bastava spuntare una GAZ di casella per abilitarlo. Superato questo arduo ostacolo comincia la mia riscoperta viscerale in un intero universo di produzioni, dagli anni ’70 a esperienze più recenti. Da fan di R-Type faccio che provare sia il primo che il secondo; bellissimi, ma a conquistare il mio cuore è l’episodio del 1992 (anche il mio anno di nascita; coincidenza?), R-Type Leo che, non per altro, diventa quello da me maggiormente gradito della serie targata IREM. Da piccolino avevo imparato a conoscere questa software house proprio grazie a Super R-Type per SNES (scoprendo con il MAME che si trattava di una conversione del II, seppur con moltissime differenze), pertanto da appassionato della saga decido di provare altre loro opere. Così vengo trascinato da avventure spettacolari quali Daiku no Gensan (noto da noi come Hammerin’ Harry), Dragon Breed, il meraviglioso Legend of Hero Tonma, il classico Moon Patrol, Kung-fu Master, X-Multiply, Blade Master, GunForce, Undercover Corps, Kid Niki: Radical Ninja e svariati altri. A furia di giocare tutte queste produzioni finisco per appassionarmi alla software house, tanto da documentarmi su tutti i loro lavori pure al di fuori della scena arcade, nonché sulla loro carriera. Come potete vedere, basta poco per accendere la fiamma della curiosità. E a proposito di R-Type: un nuovo capitolo è finalmente in arrivo, seppur non sviluppato dal team storico, ma pur sempre una bella notizia per gli appassionati di retrogaming.
Se però pensiate che dopo aver giocato quasi tutti i lavori realizzati da IREM io mi sia fermato, beh… vi sbagliate (e di grosso, anche). Tutto ciò non ha fatto altro che spronare il mio viaggio alla riscoperta degli arcade, al punto tale che, come raccontavo spesso ai miei due amici (e soci), Gennaro e Antonio, ogni giorno provavo una decina di giochi e ne finivo sempre tre o quattro e qualche volta addirittura cinque. Questo perché i titoli arcade non durano moltissimo (se non per eccessiva difficoltà) e quindi non appena ne completavo uno passavo subito a quello successivo. Capirete che facendo così di quei quattromila titoli ne ho giocati davvero parecchi. Tra i tanti me ne sono rimasti impressi non pochi, ma uno su cui voglio un attimino soffermarmi è Valkyrie no Densetsu di Namco, rilasciato nel 1989. Questo gioco è una sorta di Zelda-like (sì, è un arcade) con però una forte componente da shoot’em up. Si potrebbe quasi sostenere che Étoile Princesse sia un’evoluzione del titolo nato dai creatori di Pac-Man, tant’è che Exact approfondì totalmente la componente esplorativa e risolutiva, richiamando maggiormente l’IP Nintendo. E quante ce ne sono di produzioni arcade di rilievo, non basterebbe un intero articolo solo per menzionarle tutte. Questo non fu solo che il primo passo nelle terre inesplorate del retrogaming che tutt’oggi è ancora fertilissimo di materiale da (ri)scoprire, nonostante di robetta ne sia passata tantissima tra le mie mani da quel lontano 2008. Dopo il MAME fu infatti proprio la volta del Super Nintendo e pian piano, negli anni, ho avuto modo di giocare diversi titoli per le più disparate piattaforme (tramite emulazione, chiaramente, seppur qualcosa io possieda, come ad esempio tutte le console 128 bit anche se per il GameCube per ora uso il Wii, ma rimedierò prestissimo). Dopodiché è stata la volta dei giochi mai arrivati in Occidente, tant’è che curai pure una rubrica apposita su un sito web, diversi anni fa. Ero troppo curioso di conoscere le perle che ci eravamo persi.
È dunque così che è nata la mia irrefrenabile voglia di retrogaming, e dopo 12 anni sento ancora forte il bisogno di recuperare e conoscere i prodotti del passato che mi mancano, sempre contestualizzando tutto al periodo storico di uscita (come giusto che sia). Che poi, in realtà, un primo approccio di riscoperta risale a quando sulla prima PlayStation ho avuto la raccolta di 30 giochi Atari 2600 pubblicati da Activision. Fu lì che mi innamorai di H.E.R.O. del visionario John Van Ryzin, ma apprezzai parecchio anche opere come Kaboom!, Enduro, Pitfall! e così via. Questa console resta ancora oggi favolosa; i suoi giochi sono di un’immediatezza disarmante e riescono a divertire nonostante abbiano parecchi anni sul groppone. Non so se riuscirò ad ultimare tutte le liste che voglio realizzare e di cui ho accennato qualcosa ad inizio articolo, ma quello che invece so per certo è che non sarò mai sazio di retrogaming. L’industria videoludica va avanti, inarrestabile, e di certo continuerò a starle dietro; tuttavia per farlo non posso non andare anche in parallelo verso la direzione opposta. Come dicevo, per apprezzare al meglio il presente è necessario conoscere il passato. E non mi fermerò finché non avrò giocato tutto quello che ritengo meritevole di attenzione su ogni piattaforma esistente. Ci vorranno anni, molti anni, ma ne varrà la pena, soprattutto perché voglio condividere con voi questo viaggio. Un epico viaggio alla riscoperta del retrogaming perduto.
Appassionato di videogiochi sin da piccolo, al punto tale da portarlo nel tempo a scrivere per circa dieci anni per il settore videoludico. Dopo aver lasciato tutte le testate per le quali scriveva, eccolo intraprendere una nuova avventura sulle pagine di Pushbutton.it, piccola realtà nata dalla sua mente e quella di due grandi compagni di viaggio, nonché cari amici: Gennaro Schiavelli e Antonio Rodo. Retrogamer incallito e musicista, ama la pizza e la cultura nipponica ed è pronto a raccontarvi e condividere tutto quello che gli passa per la testa.